E TUTTI GLI ALTRI CHE CONTINUANO A VIVERE IN QUEI CUORI CHE RENDONO LE LORO VITE SPEZZATE, PER SEMPRE IMMORTALI!
Camerata è più che Amico. Camerata è più che Fratello. Camerata vuole dire essere dello stesso Sangue, della stessa Mente, della stessa Anima, della stessa Fede! Per questo non c’è posto tra Camerati per riserve mentali, per sospetti, per maliziose interpretazioni, per invidie, per prevenzione, per supponenza. Tra Camerati deve esserci la Fiducia, il pregiudizio positivo, la Stima, l’Affetto, il Sostegno che fanno del rapporto un rapporto esclusivo e simile a nessun altro. Tra Camerati deve essere esclusa la prevaricazione, la censura, il volere superare, la sete di dominio perché tra Camerati ci si deve sentire “pari tra i pari” al di là delle Gerarchie ed al di là anche del valore di ciascuno nel contesto di una “impersonalità attiva” che fa sentire ciascuno una parte di un tutto! Tra Camerati non debbono servire barriere protettive perché non ci deve essere nessun pericolo di aggressione né verbale, né psicologica. Tra Camerati si può dissentire, ma senza acrimonia, si può non concordare, ma senza partito preso, si può discutere, ma senza animosità perché tra Camerati deve essere più forte il desiderio di trovare una sintesi costruttiva, un accordo che non quello di volere avere ragione ad ogni costo e perché tra Camerati deve esistere quell’affinità delle anime che nasce dalla condivisione profonda della Visione del mondo e della vita. Se tutto questo non c’è, allora significa che non c’è Cameratismo, ma solamente un’occasionale convergenza di posizioni scaturite da un occasionale e superficiale incontro che non ha Radici Profonde. Se tutto questo non c’è significa che si è dei conoscenti, si può essere perfino Amici, ma non si è Camerati.
ORESTE ABATE
ACHILLE BILLI
RICCARDO MANFREDI
NANNI DE ANGELIS
GIORGIO VALE
PIERLUIGI PAGLIAI
VITTORIO FERRI
ADRIANA PONTECOPRVO
FRANCO ANSELMI
IVAN BOCCACCIO
SILVIO FERRARI
RODOLFO CROVACE "MAMMAROSA"
RICCARDO MINETTI
CARMINNE PALLADINO
ALESSANDRO ALIBRANDI
FRANCO DE AGAZIO
La tomba di Sergio Ramelli a
Lodi
il cielo grigio di nuvole e la comunità
Ci arrivi sempre un po’ prima,
al Cimitero Maggiore di Lodi. La mattinata di fine aprile sembra quella di un
giorno di autunno: il cielo grigio di nuvole, con qualche goccia che cade,
forse si è commosso. Lui come tanti ogni anno e ancora fra poco. Te lo fai da
solo il sentiero di ghiaia sotto gli alberi, per arrivare davanti a quella foto
e a quella lapide: Sergio Ramelli 8 luglio 1956 -29 aprile 1975. Ci vai da solo
perché dopo tanti anni, dopo aver ripercorso infinite volte quella storia,
Sergio Ramelli puoi dire di conoscerlo come un amico. Ed allora precedi gli
altri per guardarlo negli occhi, attraverso quella foto in bianco e nero, da
cui ti scruta malinconico e forse un po’ enigmatico. Ti fai il segno della
croce. Preghi. Poi scatti sull’attenti e saluti romanamente. Sì, come quando
eri ragazzino. Un paio di persone nei dintorni ti guardano basite, forse con
disprezzo. Ne ridi di gusto, come quando eri ragazzino. Torni all’ingresso.
Stanno arrivando gli altri. All’inizio era Alleanza Nazionale ad organizzare
questo evento. Ora non si sa bene quale sigla abbia il cappello da metterci su.
Si viene qui e basta. Ci sono quelli di Fratelli d’Italia e quelli di Lealtà
Azione. Ci sono quelli che non fanno più politica da quando si è sciolta An. Ci
sono quelli che prima erano di Forza Italia e chi era Sergio Ramelli l’han
saputo solo qualche giorno fa. Ci sono quelli che son rimasti nel Pdl ma oggi
non potevano mancare. Ci sono i vecchi missini. Ci sono i militanti del Fronte
della Gioventù che scortarono il feretro al cimitero. C’è il signore
anzianissimo che a 16 scappò di casa per combattere per la Repubblica Sociale e
c’è quell’altro che ha iniziato nel ’45 con l’Uomo Qualunque e non ha ancora
smesso. C’è il gentiluomo monarchico e il professore liberale che si erano
aggregati ai tempi della Destra Nazionale o della svolta di Fiuggi, che tutto
sono fuorché “fascisti”, ma che, uomini d’altri tempi, portano con sé quella
moralità che permette ancora di indignarsi di fronte a cotanta brutalità. C’è
quello che prima era della
Fiamma Tricolore e quello che stava in Forza Nuova.
C’è quello che alla fine ha messo su famiglia e non si è più visto. C’è la
“vecchia guardia” di Azione Giovani e ci sono i ventenni che iniziano ora a
muovere i primi passi della militanza. Sono i fili di un arazzo, le tessere di
un mosaico che si ricompone qui ogni anno. Vengono distribuiti i tricolori. Ci
si mette in fila. Il corteo si incammina. Arrivate lì davanti. Vi disponete in
cerchio attorno alla lapide. Più in là i ragazzi di Lealtà Azione montano il
picchetto d’onore. Iniziano i discorsi. Viene letto il messaggio che poi verrà
deposto accanto alla fotografia. I “reduci” piangono il loro antico camerata. Qualcuno
piange ancora a sentire per l’ennesima volta quella storia, qualcun altro
piange a sentirla per la prima volta, qualcuno piange per essere venuto a
conoscerla solo adesso. E poi chi crede si fa il segno della croce e prega, chi
non crede medita in silenzio. Qualcuno, sì, fa pure il saluto romano. Ci sono i
giornalisti della stampa locale che scrutano, un po’ disorientati: si
aspettavano qualcosa di paramilitare, discorsi tracimanti odio e violenza, si
aspettavano quattro vecchiacci rimbambiti e un paio di giovinastri ignoranti e
volgari. Delusione cocente. E ora cosa scriveranno? Viene chiamato il
“Presente!”. Si fa un minuto di silenzio. La mente ti corre a quando, giovane
neofita, passavi ore a leggere i libri degli “autori di Destra”. Da qualche parte
avevi letto qualcosa sulle comunità tradizionali: diceva pressappoco, che tutte
le civiltà nascono e si sviluppano attorno alla tomba dell’Eroe, attorno alla
quale si celebrano i riti che rinnovano il giuramento di fedeltà da cui nasce
la comunità. Eccoti qui, presente a quel rito. La comunità non è il partito,
esiste prima ed a prescindere da esso, e l’appartenenza non la fa certo una
tessera del portafoglio. Finché questo giorno si ripeterà in questo modo, con
le lacrime che sgorgano dagli occhi ed il cuore che pulsa, nulla sarà perduto.
Ti volti un’ultima volta. Sergio, dalla foto in bianco e nero, sembra avere
capito il tuo pensiero, e ti strizza l’occhio…
Di Paolo Maria Filipazzi
Pubblicato il 29 aprile 2013 da
BARBADILLO.IT
Una morte rimasta
misteriosa
La sera del 4 aprile del 1949
si prospetta tranquilla, al cinema, con la fidanzata, per Achille Billi, un
giovanotto di 20 anni, già volontario quattordicenne con il padre Enea (per
inciso: Enea ed Achille: quando i nomi avevano un “senso”) nel Battaglione “M”
impiegato contro i titini, che al rientro della prigionia è diventato un
attivista del MSI (arrestato per un attentato alla sezione del PCI di San
Saba), e ha aderito all’Associazione Arditi d’Italia
All’uscita, però, la coppia è
fatta oggetto di un’aggressione da parte di tre giovani…Billi si difende
egregiamente, e, ad acque calmate, lascia la fanciulla e si dirige verso casa…a
quel punto se ne perdono le tracce
La mattina successiva, il corpo
viene ritrovato, riverso in una barca, con un fazzoletto tricolore in bocca,
“attinto”, come si dice in questi casi, da un colpo di pistola Beretta calibro
9 (che era la sua), alla parte sinistra della nuca…portato in ospedale muore
poche ore dopo, senza riprendere conoscenza
Le indagini puntano sulla pista
politica da subito, ma dopo alcuni giorni il questore Saverio Polito (quello
delle molestie sessuali a Rachele Mussolini) rovescia la frittata e parla di
suicidio, ipotizzando, al limite dell’inverosimile, che il giovane si sia dato
la morte per passare da “eroe” (?) agli occhi della sua parte
politica….pertanto, per quel che riguarda la Polizia, il caso è chiuso
I Carabinieri non sono
d’accordo con questa decisione, e propendono piuttosto per la tesi
dell’omicidio….sta di fatto che i dubbi, però restano, e sono tanti: il padre
nega ogni tentazione suicida del giovane…il comportamento del Billi, nei giorni
precedenti, non lascia intravedere alcuno stato depressivo (regolarmente a
scuola, al cinema con la ragazza, in giro con gli amici)…gli esami rivelano che
l’omicidio/suicidio è avvenuto altrove, e solo dopo il corpo è stato posto
nella barca….il colpo di pistola esploso alla nuca…e altro ancora
Giulio Caradonna, che conosceva
bene il giovane, ha sempre parlato di “omicidio comunista”, collegato a
rivalità tra giovani avversari politici che si conoscevano tra loro (e il
riferimento all’aggressione all’uscita dal cinema è naturale)….questa anche
l’opinione del padre che, un anno dopo, sulla base di confidenze ricevuta da
uno slavo ospite del campo profughi di Fraschette, chiese –senza ottenerla- una
riapertura delle indagini
(in: Adalberto Baldoni, “La
destra in Italia 1945-69”, Roma 1999)
ROMA 8 APRILE 1949 I FUNERALI DI ACHILLE BILLI
BRUNILDE TANZI -SERGIO LUPARIA-ENRICO MENEGHINI
UCCISI A MILANO NEL 1946 DALLA VOLANTE ROSSA
MILANO 17 GENNAIO 1947
IL CORPO DI EVA MACIACCHINI
UCCISA DALLA VOLANTE ROSSA
RINVENUTO IN UN PRATO PRESSO LAMBRATE